Secondo le previsioni, la diffusione del Coronavirus, oltre ad aver colpito un cospicuo numero di persone anziane, avrà anche la conseguenza di ridurre ulteriormente, o mantenere bassa, la natalità
di Antonio Virgili – Presidente Commissione Cultura della LIDU
Ѐ definita “crisi demografica” una situazione nella quale le caratteristiche della popolazione (migrazioni, natalità, fertilità, nuzialità, malattie, ecc.) sono tali da determinare alterazioni ampie delle caratteristiche di partenza di tale popolazione, alterazioni che portino ad un impoverimento demografico, sia nel rapporto relativo tra le varie fasce d’età che nel numero totale di abitanti. Secondo le previsioni, la diffusione del Coronavirus, oltre ad aver colpito un cospicuo numero di persone anziane, avrà anche la conseguenza di ridurre ulteriormente, o mantenere bassa, la natalità. Sebbene solo da pochi anni si cominci a discutere di questi aspetti, l’Italia si trova già da vari decenni sulla china di un’ampia crisi demografica, ben prima dell’epidemia di Coronavirus del 2020.
Natalità e fertilità erano, infatti, in calo costante da diversi anni, la nuzialità pure (con il contemporaneo aumento dell’età media degli sposi); l’invecchiamento ha raggiunto livelli alti e con il contenimento delle spese assistenziali e sanitarie la mortalità sta riprendendo ad aumentare, e cresce pure il numero di persone (non solo anziani) che non può permettersi di pagare farmaci e cure adeguate; aumenta, il flusso di emigrazione dei giovani, specialmente di quelli istruiti. Come in alcuni altri Paesi europei (1), il numero totale di abitanti sarebbe già in costante diminuzione se non ci fosse il bilanciamento dei flussi migratori. Inoltre i divari territoriali sono ampi, con zone sempre più spopolate ed impoverite della parte più istruita e dinamica della popolazione ed aree dove i livelli di istruzione, di servizi e di infrastrutture sono al di sotto della media nazionale. Come i dati di altre ricerche mostrano, nel Sud la speranza media di vita è più bassa ed ha cominciato a differenziarsi più significativamente da quella media. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sulla salute dell’Università Cattolica (2) i divari regionali crescono, ad esempio in Campania si registra la spesa sanitaria pro capite più bassa d’Italia e se è vero che le carenze organizzative sono numerose è anche vero che comunque ci sono minori risorse a disposizione.
A ciò dovrebbe mettere riparo lo Stato per un’equa distribuzione dei fondi basata su parametri appropriati e attendibili, non lasciataa localismi rissosi e affaristici. Non mancano le progressive riduzioni di personale sanitario, sostituendo solo in parte, per esigenze di bilancio, quello andato in pensione, ciò sta producendo vistose carenze di organico e allarmanti vuoti per alcune specialità mediche. Anziché affrontare il problema del personale e del calo delle nascite ci si è affrettati a chiudere o ridurre i reparti di maternità (3) ed a mantenere limitato l’accesso a corsi e specializzazioni universitarie sanitarie, con il risultato di ulteriori carenze attese oramai nel giro di pochi anni (4). Tra gli altri effetti, questa situazione ha prodotto una crescente medicalizzazione delle nascite ed un ricorso al parto chirurgico che non ha equivalenti in altri Paesi dell’UE con popolazione, sistemi sanitari e risorse simili al nostro. Esattamente l’opposto di quanto si dichiarava nei piani di riduzioni delle strutture ospedaliere per “favorire” la medicina sul territorio. Con tendenze di questo tipo, parlare di “possibile crisi” è dunque un eufemismo per mascherare una crisi che, unita a quella economica, sta continuando ad impoverire il Paese e pone le premesse per ulteriori aggravamenti nei prossimi anni.
A queste coordinate di fondo della situazione demografica italiana e degli squilibri territoriali si sovrappongono i flussi immigratori, meno consistenti di quanto si pensi ma significativi, e quelli emigratori, con i giovani spinti ad espatriare per trovare attività di lavoro più adeguate e meglio remunerate (depauperando quindi il Paese delle forze giovani). Questi fenomeni collidono con le aspettative di una ampia parte della popolazione e da vari anni la LIDU cerca di confrontarsi con tali fenomeni demografici, spesso ignorati o minimizzati, che incidono sempre di più sulla vita quotidiana dei cittadini e su alcuni dei diritti fondamentali che sono costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla salute, alla formazione di una famiglia, alla procreazione, ad una vecchiaia decorosa. L’instabilità economica, che sempre più ha caratterizza il mercato del lavoro, assumendo le vesti della cosiddetta “flessibilità” (di fatto precarietà), aggrava ulteriormente gli squilibri poiché i giovani (e le donne in particolare), già numericamente ridotti per l’invecchiamento demografico, incontrano maggiori difficoltà a trovare lavoro, ad avere retribuzioni adeguate per affrontare le spese familiari, ed a mantenerle nel tempo visto il prevalere di situazioni contrattuali a termine. Non solo, la contrazione dei servizi sanitari e la loro privatizzazione crescente riducono le azioni di prevenzione, di assistenza al parto e di tutela nel caso di nati con problemi.
Ci si trova quindi con relativamente poche coppie giovani, spesso sotto-occupate, con attività precarie o poco retribuite, prive di un sistema assistenziale pubblico completo, quindi fortemente disincentivate dal mettere al mondo dei figli. La contemporanea crescita numerica della popolazione anziana è stata abitualmente descritta solo in termini economici negativi, ma mantenere mediamente basseretribuzioni e pensioni sta riducendo i consumi di una ampia fascia di persone, una scelta poco vantaggiosa. Per definire i caratteri della profonda trasformazione in atto oramai da tempo, in un volume pubblicato anni or sono, avevo parlato di una “rivoluzione silenziosa” che sta trasformando demograficamente le società e gli scenari mondiali di medio e lungo periodo (5).
Per spiegare le cause del calo della natalità, una delle narrazioni collettive diffusa in Italia descrive le donne come oramai poco o nulla interessate alla procreazione, ciò però è smentito da varie ricerche realizzate nell’arco degli ultimi 10-20 anni: le ragazze e le giovani donne dai 30 ai 35 anni, in realtà i figli li vorrebbero, anche due o tre, ma in Italia è sempre maggiore la separazione tra il desiderio di maternità e la possibilità concreta di realizzarla. Tempi sempre più lunghi per ottenere un lavoro stabile (e rischio di non ottenerlo in caso di gravidanza), costi di nascita e crescita in aumento, spesso la scelta di avere un figlio unico risulta obbligata dal contesto, specialmente tra le coppie con livello medio-alto di istruzione che maggiormente si pongono il problema della stabilità economica e delle prospettive per i propri figli. Questa sorta di trappola demografica per cui da un lato le coppie giovani sono sempre meno numerose, poi subiscono gli effetti della precarizzazione del lavoro e dei costi elevati per gli alloggi e per la crescita degli eventuali figli, con la spinta pure ad evitare che la famiglia resti monoreddito, pone tutte le premesse per portare ad una rinuncia ai bambini.
Se si decide di avere dei bambini il rischio successivo è che la madre sia indotta a rinunciare al lavoro, con le usuali ampie differenze di servizi tra Nord e Sud Italia. A fronte di questi dati c’è chi ha continuato a definire “bamboccioni” o “choosy” una parte dei giovani italiani, facendo finta di ignorare che altri Paesi prevedono incentivi per il reperimento di alloggi ai giovani, borse di studio per garantire perfezionamenti e completamento degli studi, hanno una disoccupazione giovanile molto più bassa, garantiscono (nei fatti, non solo in principio) che una giovane donna in gravidanza non rischi di perdere il lavoro, offrono livelli retributivi medi più elevati per cui anche con un solo reddito si possono affrontare le esigenze di una nuova famiglia. In altri Paesi si ha maggior consapevolezza che i giovani sono oramai una parte minoritaria della popolazione che va incentivata a restare ed a migliorare. Non ultimo, i dati Istat del 2019 riportano un tasso complessivo di disoccupazione nazionale pari al 9,8%. Tenendo conto delle variazioni geografiche, si nota che al Nord la percentuale è del 5,7% e al Sud del 16,2%.
Problema aggiuntivo del Meridione è che la metà di quel 16,2% sono giovani, dai 15 ai 24 anni. Nel Sud Italia, le percentuali di disoccupazione giovanile superano il 50%, un dato triplo della media europea che è del 15,2%. Emergono dunque preoccupanti tendenze demografiche che mostrano una crescente fragilità della struttura della popolazione italiana, difficoltà sociali ed economiche per le giovani coppie e per le donne che desiderino avere figli. A ciò si aggiungono divari territoriali crescenti che sono confermati da differenze nella durata media della vita, nella mortalità prematura, nella possibilità di trovare lavoro, nella disponibilità di servizi scolastici per i più piccoli. Ancora una volta aveva ben intuito Giovanni Falcone quando affermava: “Ci si dimentica che il successo delle mafie è dovuto al loro essere dei modelli vincenti per la gente. E che lo Stato non ce la farà fin quando non sarà diventato esso stesso un «modello vincente».” Ciò vale evidentemente anche per quei diritti fondamentali alla vita, alla salute, ad un lavoro stabile ed alla procreazione purtroppo spesso così approssimativamente e malamente tutelati.
1 In quasi tutti i Paesi dell’Europa occidentale i valori danno mortalità superiore a natalità o crescita zero. Gli immigrati hanno abitualmente un tasso di natalità superiore a quello delle popolazioni europee indigene.
2 Osservatorio Nazionale sulla Salute dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, “Rapporto osservasalute 2019”.
3 Ad esempio, come ricorda l’Ordine professionale delle ostetriche, oggi in Italia c’è la metà delle professioniste presenti nel Regno Unito (ved.: Bosco F., “Ostetriche: in Italia sempre meno in organico”, in Sanità Informazione, 28/01/2019)
4 Considerando il numero di infermieri e ostetriche ogni 10 mila abitanti, l’Italia si colloca solo al 17° posto tra i Paesi dell’Ue (es.: Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità su La Midwifery Care: report internazionale e situazione italiana, in EpiCentro- ISS, Luglio 2011); tra non molto mancheranno i medici.
5 Virgili A, La rivoluzione silenziosa: le trasformazioni demografiche del XX secolo, CSI, Napoli, 2002
ARTEMISIA GENTILESCHI, donna indomita e grande artista. Una storia che ha rischiato l’oscurità dell’oblio, poiché per secoli è stata poco conosciuta al punto da non essere menzionata neppure nei libri di storia dell’arte. È una storia di talento, di violenza e soprusi e di grandissimo coraggio mostrato da una donna che accetta l’umiliazione di un pubblico processo e il supplizio della tortura quale “prova di Dio” pur di veder condannato lo spergiuro che l’ha stuprata. Una femminista ante litteram nella Roma del ‘600 che fa dell’arte lo strumento della sua libertà e il motivo che la condurrà ad essere apprezzata dalle corti di Venezia, Firenze, Napoli e Londra. Artemisia è un esempio ideale per la nostra società che spesso pecca di ottimismo ritenendo che conquiste di civiltà come il rispetto e la tutela della diversità siano valori acquisiti per sempre.
Quadro -Maria Maddalena come la melanconia –Artemisia Gentileschi
estratto da Centodieci
Perchè la Giornata contro la violenza sulle donne.
Questa ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e la data è stata scelta in ricordo dell’assassinio, avvenuto il 25 novembre 1960, delle sorelle Mirabal che nella Repubblica Dominicana tentarono di contrastare il regime del dittatore Rafael Leónidas Trujillo, ma vennero sequestrate da agenti del Servizio di informazione militare e stuprate, torturate e uccise. La morte è il prezzo più alto pagato dalle donne che si trovano ad avere a che fare con violenza maschile.Le donne spesso faticano a rivolgersi alle forze dell’ordine per paura di ritorsioni ulteriori, perché convinte in qualche modo di meritarsi quello che subiscono, per paura di non essere credute o perché non si sentono abbastanza tutelate dalla legge.
Richieste d’aiuto in aumento: l’immagine che emerge dai dati Istat
Secondo l’ISTAT sono 302 i centri antiviolenza, segnalati dalle Regioni (che hanno aderito all’Intesa Stato-Regioni del 2014). Di questi, 30 hanno iniziato la loro attività nel 2018.Nello stesso anno le donne che si sono rivolte ai Cav sono state 49.394, +13,6% rispetto al 2017.Quelle avviate a un percorso di uscita dalla violenza sono 30.056, delle quali il 63,5% lo ha iniziato nel 2018. Il 63% di loro ha figli, minorenni nel 67,7% dei casi. Le straniere sono il 28%.
Ancora una volta i dati ci confermano il ruolo imprescindibile dei centri antiviolenza,si potrebbe definire “sistema antiviolenza”, ma che in Italia fatica ancora a strutturarsi in maniera organica ed efficiente.
Da notare: le richieste di intervento al numero gratuito d’emergenza, 1522, tra marzo e giugno 2020, se inizialmente hanno visto un calo drastico dovuto alla convivenza forzata tra vittima e carnefice che impediva qualunque denuncia, successivamente si sono impennate.
Inasprimento Ue limiti CO2 per industria auto è un problema
UE:COMMISSIONE PETIZIONI,CHIARIMENTI LEGGE ARS SU MASSONERIA.
Norma Regione Siciliana impone dichiarazione pubblica a iscritti
(ANSA) – CATANIA, 17 OTT – “Chiederemo alle autorità italiane le informazioni necessarie per valutare la compatibilità delle disposizioni della legge con il diritto dell’Ue, compresi quelli fondamentali riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. E’ la conclusione della Commissione per le petizioni dell’Ue sulla richiesta di abrogazione della legge n. 18 della Regione Siciliana, del 12 ottobre 2018, sull”Obbligo dichiarativo dei deputati dell’Assemblea regionale siciliana, componenti della giunta regionale e degli amministratori locali in tema di affiliazione a logge massoniche o similari’. La Commissione annuncia che “informerà il Parlamento europeo sulle sue conclusioni”. L’intervento è stato sollecitato da un cittadino italiano, A. M., assistito dall’avvocato Salvatore Ragusa del foro di Catania, sostenendo che “l’obbligo di presentare una dichiarazione sull’eventuale appartenenza ad associazioni massoniche sia in palese contrasto con la Costituzione italiana e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Il firmatario ha fatto riferimento alla violazione di “varie disposizioni, in materia di dignità, rispetto della vita privata, libertà di pensiero, di coscienza, di espressione, di riunione e associazione e di non discriminazione”. La Commissione ha ritenuto ricevibile la richiesta e rilevato che “in particolare, come per qualsiasi trattamento di dati personali, la finalità deve essere legittima” e “può essere lecito solo se rispetta i diritti e le libertà riconosciuti dalla Carta, compresa la non discriminazione, nonché la libertà di pensiero, di coscienza e di religione e la libertà di riunione e di associazione”. Per questo la Commissione “ritiene opportuno chiedere informazioni alle autorità italiane” sulla legge per “valutarne la compatibilità con le pertinenti disposizioni del diritto dell’Ue e il possibile effetto restrittivo sull’esercizio dei diritti fondamentali pertinenti”. (ANSA).
QUESTA POVERA GIUSTIZIA
Giuseppe Cardillo
“Chiamateli allibberali, o frammassoni…Contr’a li giacubbini de la setta…Un processaccio, e, appena condannati…Doppo avelli accussì ghijottinati, Je darebbe una bona impiccatura”.
I versi del Belli rappresentavano così la stagnante giustizia papalina ancora mezzo secolo dopo il codice dell’illuminato Pietro Leopoldo di Toscana, quello che nel 1786 aveva “sbandita dalla Legislazione” la pena di morte, la lesa maestà e con queste i reati di opinione, fondando il sistema criminale sopra la celerità e l’umanità del giudizio per “la speranza di veder tornare alla Società un cittadino utile e corretto”.
Cittadino, Società, Speranza. Termini allora inauditi nelle leggi penali, ripresi due anni dopo in Francia dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino che li ha resi universali. Che precedettero il “Codice di procedura civile pei Tribunali del Granducato di Toscana” del 1832, che all’art. 94 giunse a stabilire che “Tutti i giudizj ordinari avanti qualunque Tribunale, e Magistrato di prima, seconda, e terza istanza avranno il termine perentorio di sei mesi correnti”.
Provate a leggere quei codici, o meglio facciamoli leggere in Parlamento, nel superfetare della nostra bulimia legislativa, del contentare le isterie del momento, della matassa normativa che ha reso tutto vietato e tutto permesso, con la conseguenza, ormai di rango costituzionale, che c’è una legge per ogni bisogna e questa si applica ai nemici e si interpreta per gli amici.
Diceva un contabile della politica che le leggi tuttora vigenti nel Bel Paese si contano in oltre un milione. Altrettanti i relativi procedimenti che realizzano la tirannia del diritto processuale su quello sostanziale, con l’inversione del brocardo con cui il giudice chiedeva all’avvocato “da mihi facto, dabo tibi ius”. E fu così che venne a circolare la speranza di una legge grottesca, recante l’articolo uno e unico: “Tutte le leggi, dal 1968, sono abolite”.
La crisi del sistema penalistico italiano è in particolare sotto gli occhi, anche di quelli del profano, intimidito dal groviglio normativo, alluvionale effetto dell’emotività della politica.
Numerosi precetti penali risultano invero emanati per contingenze, in ultimo per la corrente pandemia sanitaria ed economica, per esigenze ora restrittive e ora permissive della finanza, nella tutela dell’ambiente, in materia di stupefacenti, sulla libertà sessuale e così via. Altre norme sono per altro verso dirette ad assistere e supportare la pubblica amministrazione, oggi carente e domani crollata sotto la sua mole, senza che questo schizofrenico e ondivago legiferare tuteli nella coscienza di ciascuno precisi valori della persona e della collettività.
La questione delle pluralità delle norme penali e del loro indirizzo è dunque quella della stessa conoscibilità della legge e quindi della certezza del diritto per il cittadino.
Giovanni Falcone venne a Firenze nel 1988. Al Circolo fondato da Salvemini, tenuto poi dai Rosselli e da Calamandrei, ci diffidò dal guardare allo stesso nuovo Codice del rito penale italiano in materia emozionale, dal caricarlo di eccessive aspettative, quando stava assegnando all’accusa la fase delle indagini e al giudice quella della decisione in merito, senza separare lo stato e la carriera dell’accusatore da quella del giudicante. Profeticamente, lo ritenne “in grado di funzionare se funzionerà tutto il meccanismo, a cominciare dalla mentalità di noi magistrati. In particolare intendo riferirmi alla netta differenziazione tra Pubblico Ministero e Giudice: il Pubblico Ministero deve prendere coscienza di essere parte e deve improntare la sua attività a questo nuovo ruolo assai diverso…”.
La cautela di Giovanni Falcone era ancora più giustificata verso il nuovo procedimento penale, che del resto lasciava intatto quello dei reati e delle pene, del Codice Penale entrato in vigore il primo Luglio del 1931, con l’allora concomitante Codice di Procedura penale. Ambedue costituirono una singolarità nel panorama penalistico europeo.
L’Italia post unitaria si era infatti dotata dopo profondo dibattito del sistema penale varato da Crispi e Zanardelli nel 1889. L’ordinamento aveva raccolto le illuminate posizioni della codicistica preunitaria, e contemperandole nell’ottica laicistica del tempo aveva predisposto uno strumento che, come in altre parti d’Europa, avrebbe certo raggiunto il secolo di vita.
L’impianto del codice napoleonico è stato infatti aggiornato dalla Francia solo nel 1994. L’Austria ha adottato un nuovo Codice Penale nel 1974, sostituendo quello del 1852, mentre in Germania il codice guglielmino del 1871 scampò persino al nazismo rimanendo illeso sino al 1975.
Al governo Mussolini premette invece la stesura di nuovi codici ispirati alla centralità dello Stato. Dettero al guardasigilli Rocco tempi ristretti, e pochi mesi per una consultazione di pura facciata delle cattedre universitarie. Quella che aveva richiesto anni al ministro Zanardelli.
La fretta del ministro fascista forzò anche lo stesso sistema statutario, quando il Regio Decreto di approvazione del codice Rocco travolse la legge 2260 del 1925, che aveva delegato il Governo a “modificare” ovvero “emendare” quelle norme del codice Zanardelli “che danno luogo a questioni” e quelle “formalmente imperfette”.
Al contrario il R.D. 1398/1930 promulgò un corpus normativo stravolgente, dove la tutela dello Stato e dell’ordine sociale venne sovrapposta a quella del cittadino e all’emenda propugnata dal Granduca di Toscana in anticipo alla Rivoluzione Francese. Sarà stata una coincidenza venuta dalla fretta, o fu solo un caso che la legge promulgativa dei codici Rocco non ebbe la firma di Vittorio Emanuele, in quell’anno ancora non immemore dei traguardi di civiltà raggiunti dall’Italia dei Savoia al tempo di Umberto I.
Il dopoguerra e il ritorno alla sovranità parlamentare riproposero il tema della centralità del cittadino, soggetto centrale e titolare della protezione della legge criminale, e della struttura e finalità delle pene.
Doveva quindi essere realizzato il principio costituzionale che la pena è riscatto ancor più che l’emenda del reato ovvero solo una remora. Ma il lungo tempo trascorso e la complessità e il numero dei tentativi parlamentari e di governo verso un nuovo Codice Penale potrebbero occupare da soli un capitolo della storia del diritto italiano. Al tentativo dell’Agosto 1944 del ministro Tupini “per la formazione di un nuovo codice penale…aderente alle tradizioni giuridiche del popolo italiano” e sostanzialmente mirato al ripristino dei principi del codice Zanardelli sono seguite iniziative firmate da giuristi di fama nella scienza penale in Italia e nei paesi ad ordinamento similare, come quelli dell’America latina. Si giunse al progetto di un nuovo codice penale del Lattanzi, a quelli di Aldo Moro del 1956, di Guido Gonella del 1960, di Oronzo Reale del 1968, e a quello di Giovanni Leone nella VI legislatura, che fece introdurre quantomeno la clemenza del cumulo attenuato delle pene e la comparazione delle circostanze aggravanti e attenuanti introdotte dalla legge 220/1974, negli anni dell’emergenza economica e del limitato intervento sul sistema penitenziario, con le sanzioni penali sulle violazioni amministrative. E solo nel 1987 il ministro Giuliano Vassalli provò a dare una nuova spallata all’ormai consueto criterio delle leggine portatrici di sanzioni penali di supporto all’elefante della burocrazia italiana.
L’intero apparato penalistico andava riscritto, si disse nuovamente in quegli anni, e giunse dunque la commissione presieduta da Antonio Pagliaro, composta con Franco Bricola, Ferrando Mantovani, Tullio Padovani e Antonio Fiorella. Il seguito dell’iniziativa è passato al catalogo dei fallimenti: rasseganti i propri risultati al Ministro per il seguito delle consultazioni delle Università, la Commissione cadde con la Prima Repubblica, e con essa l’ennesimo tentativo di superamento del Codice Rocco.
Né migliore fortuna toccò nel 1994 alla Commissione Giustizia del Senato, quando costituì un nuovo Comitato per la riforma del Codice Penale. Questo rassegnò il lavoro con l’articolato del Disegno di Legge presentato dal Governo del fiorentino Lamberto Dini, naufragato con la fine anticipata della XII Legislatura.
Nel contempo e nel seguito ultraventennale il Governo e il Parlamento hanno imperversato con decreti, leggi che sovrappongono quelle dell’Unione europea e le leggine che contentano le estemporanee emotività, le mode e in primis della pubblica amministrazione che maschera le sue inefficienze.
La sfiducia e il fatalismo della nostra democrazia e della nostra cultura giuridica nelle vicende riformatrici del codice Rocco hanno codificato, al contrario, il sistema delle leggi parziali e modificatrici di quelle già modificate, istitutive di nuove e sempre più complesse figure di reato, talché il nostro sistema penale è oggi quel bosco ignoto al cittadino tenuto per primo ad conoscerlo.
Il contratto sociale viene dunque strappato nell’impenetrabile foresta della Gazzetta Ufficiale. Un eden per gli addetti ai lavori, a molti dei quali sfugge il principio della pari condizione dei cittadini nell’ordinamento sociale.
Né deve sfuggire il rapporto tra la complessità delle norme e quelle nicchie dove il potere della burocrazia si rafforza a dispetto delle dichiarazioni di principio, e dove quindi muore la fiducia del cittadino verso lo Stato.
Nel particolare sistema delle leggi penali, chi può negare la necessità di un Codice che finalmente disboschi il sistema penalistico di questo Paese a quasi un secolo da quello fascista? O l’esigenza di una giustizia diversa da quella dea bendata, sperduta nel groviglio sovrapposto al vetusto codice di un ordinamento totalitario nelle emergenze di novant’anni?
Decenni di iniziative della dottrina, del governo e parlamentari verso un corpo di leggi penali, di un solo codice fondato sulla centralità della tutela della persona, dei suoi pubblici e privati diritti, anziché su quello dello Stato, rendono infatti inutile la domanda se si debba continuare con le depenalizzazioni a casaccio e gli inasprimenti del giorno dopo, nell’ormai forsennato legiferare che dopo aver disorientato il cittadino lo ha portato al fatalismo dell’ignoranza verso un Codice penale ormai gonfio di quasi mille articoli e accerchiato dalle centinaia di leggi che hanno seppellito la nostra giustizia.
E qui torna il Belli, che nel 1836, all’abate confessore dei condannati a morte che portava il profetico nome Bonafede, rispose che le leggi soffocanti danno almeno la speranza nella semplicità delle regole ultraterrene: quando il poveraccio “more per le mano der governo, è quasi certo com’adesso è inverno, che trova er paradiso spalancato”.
Cosa vuol dire? Ma soprattutto quanto tempo abbiamo?
Il punto di non ritorno è il momento o condizione a partire dal quale non si riesce più a tornare alla stato iniziale.
“In generale il punto di non ritorno è il punto più critico di una crisi che se travalica detto punto si produce, solitamente una trasformazione sostanziale o l’annientamento completo di ciò che l’ha preceduta.”
Quello che è certo è che i cambiamenti climatici in atto da un secolo a questa parte, di cui l’uomo è diretto responsabile, devono essere al più presto fermati, per evitare conseguenze assai più gravi.
La realtà dei fatti è che si può parlare di un’emergenza planetaria, che coinvolge tutti gli abitanti del nostro pianeta.
Studi recenti dicono che la concentrazione di gas serra nel mondo non è mai stata così alta.
Le conseguenze sono più gravi di quello che avevamo immaginato. E le manifestazioni del fenomeno sono peggiori anche delle previsioni scientifiche più gravi. Lo vediamo dappertutto. Dai disastri naturali all’oceano Artico, dai ghiacciai alla temperatura del mare.
La realtà è che i cambiamenti climatici stanno procedendo più velocemente rispetto alle nostre azioni.
Parlano tutti con un senso di urgenza ma servirà a qualcosa?
Per combattere i cambiamenti climatici bisogna abbattere le emissioni e bisogna farlo nel più breve tempo possibile.
Inutile credere che abbiamo ancora tempo, non è così il tempo è scaduto.
Eugenio Turri geografo e scrittore, sostiene “ sia venuto meno, il confronto diretto tra uomo enatura, ed in particolare che sia venuto meno quel momento magico in cui l’uomo, individualmente trovava rispecchiato nella natura il segno di sé, della propria azione, del proprio modo di creare un ordine che gli derivavano dalla società in cui viveva”.
Perchè la natura e il paesaggio che ci ci circonda, specialmente quello rimasto al naturale e quello antropizzato è, e lo sarà sempre, un bene di tutti , un bene comune .
“la trasformazione climatica e ambientale in atto e che riguarda tutti e tutto, dai poli all’equatore, dai ghiacciai alpini ai fondali oceanici, dall’America all’Indonesia, dall’India alla Cina. L’attività antropica ha minato ogni ambiente, ogni ecosistema, ogni equilibrio, ha compromesso la biodiversità e la sopravvivenza di migliaia di specie, compresa la specie umana.”scrive Maria Grazia G. Paperi.
Il fatto è che il problema di dimezzare la quantità di CO2immessa in atmosfera in un paio di anni è un obiettivo ormai irrealizzabile. E’ stato rilevato da un0 studio recente che, nonostante gli impegni assunti nelle recenti conferenze sul clima, la quantità di emissioni di CO2è tornata ad aumentare negli ultimi anni dopo che si era stabilizzata per qualche anno.
I poli sono già in stato avanzato di “decomposizione”, di questo passo entro il 2040 sarà possibile la navigazione all’interno del Polo Nord, se lo scioglimento avvenisse completamente la scomparsa dell’Artico, che funge da condizionatore d’aria per l’emisfero settentrionale, determinerebbe il cambiamento delle correnti e dei cicli climatici con conseguenti inondazioni e siccità dagli sviluppi imprevedibili e catastrofici. Ampie porzioni di coste, fra le zone più abitate del Pianeta, isole e penisole sarebbero completamente sommerse, come sta già avvenendo.
Tutto questo non fa ben sperare, c’è una grande differenza tra il dire e il fare.
Il mondo ha bisogno urgentemente di un cambio di marcia, no di continui passi indietro: per combattere i cambiamenti climatici bisogna abbattere le emissioni e bisogna farlo nel più breve tempo possibile.
Dobbamo riuscire ad aggregare tutti coloro che hanno un obiettivo comune: la Sopravvivenza.
Tanto per dirne una,in Italia le nostre città sono tra le più inquinate d’Europa a causa della forte presenza, oltre i limiti di legge, di un gas fortemente irritante e cancerogeno, emesso nei processi di combustione, in particolare dai motori diesel: il Biossido d’azoto (NO2). il 2015 è stato l’anno dello scandali , è stato reso noto al mondo intero come i produttori di auto ci abbiano preso per il naso per decenni) e ancora adesso siamo in emergenza inquinamento anche se viene in parte nascosto o sdrammatizzato. Nemmeno in una metropoli come New York abbiamo i nostri livelli. Le nostre sono aree metropolitane fortemente a rischio per la salute dei suoi abitanti. Il rischio sanitario aumenta notevolmente durante la stagione calda, quando si assiste a un brusco aumento dei ricoveri per colpa dell’incremento dell’NO2 , la formazione dell’Ozono (O3), anch’esso fortemente irritante e tossico. Polveri sottili, benzene,zolfo e altro.
Viviamo senza rendercene conto, ma non si può prescindere dall’ambiente.
L’uomo, la comunità vive parzialmente nell’ambiente naturale, ma in ambiente antropizzato e costruito , nella città. Ma se questo bene che è il nostro ambiente, viene messo a rischio costantemente, allora dobbiamo intervenire.
Non è sufficiente quello che facciamo.
Le comunità hanno bisogno di vivere bene, in un ambiente sano. Il benessere mentale deve andare di pari passo con quello fisico. Progettare città vivibili e sanare quelle esistenti è una priorità, ed è importante che sia fatta una scelta radicale e profonda.
La fiducia che la comunità ha verso le istituzioni sta vacillando perché non si vedono passi concreti.
In questa fase storica, tenendo conto anche della pandemia dovuta al virus Covid 19, che ha origine anch’esso dallo stravolgimento dei nostri ecosistemi, quello che occorre è chiederci una volta per tutte se il diritto alla vita venga prima o dopo tutti gli interessi di politici ed economici indifferenti a tutto ciò che inquina, e tutti i veleni che respiriamo,e tutto il cibo spazzatura che mangiamo, e tutte le malattie che prendiamo da molto tempo a questa parte se vogliamo continuare a tutelare il privilegio di pochi a danno della salute di tutti, prego accomodatevi e state a guardare, abbiamo bisogno che tutti ci svegliamo una volta per tutte, e prendiamo coscienza di questa cruda realtà.
Per Ilaria Capua, le epidemie come il coronavirus derivano dalle azioni dell’uomo sull’ambiente
Secondo la virologa di fama internazionale, occorre un approccio nuovo al concetto di salute e malattia, basato sul rapporto (più rispettoso) nei confronti dell’ambiente e sullo studio approfondito dei dati
«Questa epidemia ha messo in luce come – cosa che sapevamo già – in questo mondo siamo tutti interconnessi» dice la virologa di fama mondiale Ilaria Capua.
“Ci si basa su un concetto base: se intervieni su un ecosistema e, nel caso, lo danneggi, questo troverà un nuovo equilibrio. Che spesso può avere conseguenze patologiche sugli esseri umani. Lo si vede con le conseguenze, non volute, dell’impiego su larga scala dei pesticidi, che sono andati a danneggiare la popolazione di api e farfalle. Queste ricadute sull’ambiente raggiungono alla fine, la nostra salute. Perché – e questo è il secondo concetto fondamentale che dovrà diventare chiaro a tutti gli stakeholder del settore– noi viviamo in un ambiente chiuso. Come se fossimo un acquario. La nostra salute dipende per il 20% dalla predisposizione genetica e all’80% dai fattori ambientali. La cura deve studiare, oltre all’organismo in questione, anche il contesto. “
Una cosa è certa: se vogliamo aspettare un benché minimo cambiamento, occorrerà sensibilizzare i cittadini e le istituzioni e fare in modo che tutti coloro che hanno a cuore la propria esistenza e la propria salute inizino a occuparsene concretamente. Si tratterà di provare a sopravvivere e capire e rendersi conto della drammatica situazione in cui siamo immersi, dobbiamo intervenire e insistere con chi di dovere per attuare provvedimenti indirizzati a migliorare la qualità dell’ambiente.. Dovremmo iniziare a chiedere e a impegnarci direttamente affinché si possa tratare bene il nostro ambiente e che le automobili private, autobus, che inquinano, vengano espulse fuori dalle nostre città sostituite da sistemi di trasporto pubblico e mezzi privati a impatto zero e più biciclette.
Lo riteniamo un diritto della nostra comunità dove noi ,i nostri bambini e i nostri anziani possano vivere la città senza camminare in un ambiente avvelenato. Effetti dello smog e di un ambiente insalubre.
Per non parlare dei problemi di dissesto idrogeologico frane nubifragi ( vedi i parchi e aree distrutte con diversi morti e feriti. ) Genova, Firenze, Livorno.
Disastri ambientali sia sulla terra ferma che in mare Ilva di Taranto. Rosignano Solvay. Le terre dei fuochi. Orbetello Lago di Masacciuccoli ,Pisa Seveso.
Incendi che distruggono un enorme patrimonio boschivo con tutti gli animali che muoiono o non sopravvivono in un habitat che è cambiato.
Speculazioni edilizie ai danni dell’ambiente Anche il paesaggio è un bene comune ed è un diritto per tutti, sancito anche dalla Costituzione, art.9. E’ chiara la funzione esistenziale del paesaggio, esso è insieme natura e storia, frutto dell’incontro tra uomo e territorio. Il paesaggio allora non può essere pensato senza tener conto della dimensione soggettiva e sentimentale: senza questa non potrebbe esistere. Ogni paesaggio reca con sé le tracce del passato degli individui, le loro radici, la loro identità; osservarlo permette di comprendere l’evoluzione storica del rapporto tra uomo e natura. Ma oggi sono proprio i paesaggi rurali, in molte campagne e borghi del nostro paese, a segnalare pratiche produttive e insediative disastrose che hanno compromesso ormai quei territori, che ci appaiono talvolta incoerenti e sembrano faticare a costruire nuovi equilibri, anzi non li ricreeranno mai più. Anche le generazioni future hanno il diritto di veder salvaguardato e tutelato il Patrimonio artistico e paesaggistico. Ripercussioni sul territorio Devastazioni Cementificazioni Incuria Rischio idrogeologico Deturpazione dei luoghi.
Tutto questo non significa soltanto l’effetto, di per sè tragico, di un surriscaldamento globale irreversibile, significherebbe anche che, come avverte Peter Wadhams, ex direttore dello Scott Polar Research Institute di Cambridge: “Prima o poi, ci sarà un abisso incolmabile tra le esigenze alimentari globali e la nostra capacità di produrre cibo in un clima instabile.” Stabilità e ciclicità climatica sono presupposti essenziali per l’agricoltura, ad ogni tipo di coltivazione, ovunque. Saremo sempre di più e avremo sempre meno da mangiare, con tutto ciò che consegue in termini di guerre, migrazioni, odio. Come avverte l’Organizzazione Mondiale Meteorologica: “L’ultima volta che l’anidride carbonica aveva raggiunto i valori attuali è stato circa 5 milioni di anni fa. Siamo sempre più pericolosamente vicini a quello che gli scienziati ritengono il punto di non ritorno (ossia le 450 ppm), superato il quale sarebbe impossibile mantenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 gradi centigradi”.
Per un cambiamento strutturale serve l’intervento politico. Perché se da un lato alcuni cittadini si vergognano della propria impronta ecologica, dall’altro le aziende inquinanti tengono consapevolmente in piedi un sistema distruttivo. Non serve instillare nella gente il senso di colpevolezza riguardo all’ambiente, vogliono che la colpa cada sugli individui, sui consumatori, i colpevoli sono le società che inquinano. Certo il nostro comportamento è importante, ma ai fini di un cambiamento le “società” devono fare la loro parte. Jaap Tielbeke giornalista e ambientalista scrive :Fare docce più brevi non aiuta molto l’ambiente: si risparmiano appena novanta chili di anidride carbonica all’anno. Ma un volo da Amsterdam a New York produce 1.700 chili di anidride carbonica in un colpo solo. Volare di meno, quindi, fa davvero la differenza. E anche mangiare meno carne, perché gli allevamenti emettono più gas serra di tutto il settore dei trasporti. Passare a una dieta vegetariana è uno dei contributi più efficaci che un individuo possa dare alla lotta al cambiamento climatico. “
Per un cambiamento abbiamo bisogno di un impegno collettivo.
Artista: Carel Max Quaedvlieg, La breccia di Porta Pia, 1870, Roma, Collezione Apolloni.
Centocinquant’anni fa, con l’ingresso dei bersaglieri dalla breccia di Porta Pia, Roma diventava italiana. 21 Settembre 2020 il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo e il sindaco, Virginia Raggi, accompagnati dal rappresentante della Regione Lazio, dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Enzo Vecciarelli e dal capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Salvatore Farina, ha deposto una corona d’alloro in memoria dei caduti presso la lapide commemorativa della battaglia del 1870, lungo le mura aureliane.Un picchetto armato di Bersaglieri, corpo dell’Esercito protagonista della presa di Roma, ha reso gli onori alle Autorità indossando l’uniforme storica in dotazione alle truppe dell’epoca.
Artista: Carel Max Quaedvlieg, La breccia di Porta Pia, 1870, Roma, Collezione Apolloni.
L’opinione dei soci sul nostro Sistema Sanitario durante l’emergenza Covid 19
A cura di Dania Scarfalloto Girard
L’emergenza Covid 19 è arrivato nelle nostre vite con prepotenza, in modo drammatico, e le previsioni per il futuro sono senza certezze, in questi giorni, tutti noi a parte chi ha continuato a lavorare, siamo chiusi nelle nostre case, e abbiamo avuto modo di riflettere , cercando di capire ciò che è accaduto e ciò che ci aspetta, Ci sono avvenimenti che non dovevano accadere, eravamo completamente impreparati, questa è la realtà!
Prima della parte economica con tutti i suoi risvolti, che sarebbe bene affrontare, la prima cosa di cui occuparci in questo momento è la Sanità, era già in programma da tempo , stavamo pensando di fare un convegno su questo tema, ma questi eventi accaduti nelle ultime settimane, a causa del Corona Virus, sia negli ospedali che nelle RSA , ci spingono a occuparcene in maniera diversa, ad approfondire, che cosa possiamo fare e cosa dovrà cambiare? Perché qualcosa dovrà cambiare visto che ci sono stati degli errori fatali, dovremo fare delle richieste specifiche. Ciò che è accaduto, il virus, la paura di morire, i deceduti, quelli che non ce l’hanno fatta, è stato un strazio e tuttora lo è, se ognuno di noi ci pensa, può immaginare il dramma degli ospedali, dei medici, degli infermieri, degli ammalati, e la strage dei nostri anziani morti, Il viaggio terreno dei nostri anziani, non doveva concludersi in quel modo.
Si sente l’esigenza di rafforzare il territorio, che sembra essere il punto debole del Servizio Sanitario Nazionale, per non farci mai più trovare impreparati, gli ospedali hanno dato il massimo, ma non a sufficienza per salvare tutti, i certi casi hanno dovuto scegliere tra chi curare e chi no, per mancanza di attrezzature salvavita per i pazienti in terapia intensiva. Sarebbe auspicabile come dice l’ANT avere delle squadre speciali che potessero recarsi dai pazienti a casa, qualora non gravi, come del resto fanno per i malati di tumore, per non gravare sugli ospedali.
La situazione che stiamo vivendo e affrontando con coraggio ha le caratteristiche di un evento traumatico di massa che ci fa temere per la nostra vita, per gli affetti e per gli aspetti economici e sociali, quello che sta accadendo ci ha costretto a rivedere i nostri modi di vivere.
Questo virus ci ha costretto a fare i conti con la morte.
Pensavamo di controllare tutto, ma non è così, il virus che ci ha traumatizzato, non sarà l’unico, era già stato previsto , ma i governi non hanno ascoltato.
Siamo stati costretti a rallentare il nostro stile di vita, non il progresso, ma il modo in cui vogliamo vivere veramente è questo?Abbiamo un dovere verso noi stessi e verso gli altri, forse lo abbiamo dimenticato, l’egoismo è dilagante, eccessi in tutto, anche verso il mondo , l’ambiente che ci circonda, e così la paura e l’angoscia ha preso campo in brevissimo tempo.
La salute il bene più prezioso che le persone hanno, i cittadini anziani hanno più bisogno di cure, hanno più bisogno di cure di qualità, e subito non appena si presenta la malattia .
Il nostro governo le regioni, gli assessori alla sanità hanno il potere di decidere la spesa pubblica, in media l’Italia ha speso meno per la protezione sociale e per l’educazione, rispetto alla Germania per esempio, sono scelte politiche quelle riguardanti la sanità.
Inoltre bisogna essere certi di ciò che si afferma, dobbiamo essere responsabili e consapevoli, le parole possono essere sentenze e lasciare il segno; insomma non sento opinioni né tanto meno, notizie certe,specie sulle cure per questo virus, che restino per più di 24 ore, nessuno sa, questa è la verità!
“La Lidu desidera fare un sondaggio sui problemi che si stanno ponendo e ci domandiamo:
Il sistema sanitario ha fallito ? La gestione del sistema dovrebbe essere a livello Nazionale o Regionale?E’ opportuno riaprire tutto?
IL PENSIERO DEI SOCI in seguenza
Roberto Mailli, Gloria Vannini, Giuseppe Cardillo, Armando Nicolai, Alessandro Pini, Paolo Nardi.
Roberto Mailli
10 Aprile 2020
LO SHOCK “,
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Il colpo è stato improvviso, potente, spaventevole, ha rapidamente spazzato via sovrastrutture, presunzioni, sicumere, ci ha riportato alle paure ataviche ed al primigenio istinto di sopravvivenza, ci ha fatto riscoprire nostro malgrado, la natura di tana della casa, nostro evoluto, piccolo dominio. I pensieri del nostro otium ” nel rifugio domestico, leggeri, creativi, appaganti, sono diventati molesti, sinistri; siamo precipitati in una abulia della creatività, colonizzati da una regressione disarmante ai soli bisogni primari.
Per altro, il mostro ha vanificato le effimere certezze di una materna Unione europea, di soccorrevoli alleanze storiche e potenti, di una produttiva, felice globalizzazione e peggio, di uno Stato pronto, efficace, risolutivo.
A livello personale, crollata forzosamente la socialità, la comunicazione, Ia stessa catena e la forza degli affetti, soli nel deserto dello spirito e del perduto vivere associato, abbiamo pure dovuto constatare l’eclissi del sacro ed attaccarci coll’ottimismo della volontà all’ultima dea, la speranza.
La potenza del ‘nemico ” poi, ha costretto a rimandare ad un ipotetico dopo I’esame razionale ed esaustivo della crudele esperienza, focalizzati tutti su una sua non troppo lontana, né apocalittica sconfitta, con la sola convinzione che nulla potrà più essere come prima. Ma la stratificata scienza di vita, ha presto diluito quest’ultima scultorea certezza, nella cinica percezione che, archiviata la grande paura, molto probabilmente ci si adagerà di nuovo nell’usato pressapochismo, nel consueto ” io speriamo che me la cavo ‘.
Confesso però che, tempesta durante, tra un bollettino di guerra e l’altro, qualche riflessione temi contingenti mi è venuto naturale abbozzarla: la gestione dell’emergenza e la tenuta dello strumento sanitario.
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LA GESTIONE DELL’EMERGENZA.
a. Le predisposizioni.
I preparativi e gli accantonamenti per fronteggiare evenienze inattese, non sono moneta corrente nel nostro Paese; non danno visibilità né ritorno elettorale e sottraggono risorse all’annosa, vana rincorsa al risanamento del pesante Debito pubblico. Di un piano a lungo termine per il risanamento di un territorio fragile, dissestato e sismico, non si è mai affrontata l’esigenza: c’è la Protezione Civile e tanto basta.
Nelle emergenze locali od al massimo regionali, ha funzionato; alla prima crisi massiva ed estesa all’intero territorio nazionale ha mostrato evidenti carenze. In effetti, la Struttura è impari a fronteggiare una catastrofe, rilevante per dimensioni ed esigenze specialistiche; essa infatti si basa su un nucleo di tecnici dell’emergenza, con distribuzione anche areale, su un vasto serbatoio di volontariato, in grado di fornire utile ” bracciantato ” e su un’unica punta di lancia “, il Corpo dei Vigili del Fuoco. Le sue scorte sono finalizzate al ricovero ed alla sopravvivenza di popolazioni locali, colpite da dissesti territoriali o sismi; per emergenze puntiformi di carattere ingegneristico o chimico, intervengono le squadre specializzate dei pompieri, allocate in alcune Regioni del Paese.
La Protezione Civile fa quello che sa fare, per il tempo e per l’area colpita dalla crisi; per qualsiasi esigenza imprevista, massiva o specificatamente specialistica, deve passare la mano allo Stato.
b. La gestione della crisi.
Affrontare una emergenza rilevante ed estesa, richiede una gestione unica, pronta e decisa, forte nella guida e flessibile nell’adeguarsi tempestivamente all’evolversi della situazione. Le evidenze emerse però, mal si attagliano a tale ideale matrice, ma andiamo per punti.
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L’unicità di direzione, sia all’inizio sia nel prosieguo della crisi è stata carente; le Regioni hanno continuato a muoversi in maniera scoordinata ed abbastanza difforme, con visibile nocumento dell’Autorità Centrale e delle sue direttive. Ciò discende evidentemente da una rilevante lacuna nella realizzazione della ” regionalizzazione `’: non è stato salvaguardato il principio gerarchico, stravolgendo la Scienza dell’Organizzazione. Merita inoltre rammentare che, la perfetta riproducibilità di iter e comportamenti sull’intero territorio nazionale è un fondamento di democrazia ( Max Weber ). La prontezza nel realizzare I’intera, rilevante latitudine della crisi e nell’elaborare gli adeguati provvedimenti, non ha propriamente illustrato la dirigenza politica: le direttive sono state esitanti e scarsamente tempestive. Sono per certo comprensibili le esitazioni nell’emanare direttive pesanti, sia sotto l’aspetto sociale sia economico e la riluttanza ad accettare una vera e propria logica di guerra “: alla fine però, proprio quelle decisioni inaccettabili sono state imposte dalla realtà, ma il Paese ha pagato lo scotto del prezioso tempo perduto.
Sempre a proposito di prontezza, sono state giustamente costituite delle Commissioni consultive Tecnico -Scientifiche, solo che il Governo sembra averle utilizzate come marchingegno dilatorio, mancando al proprio compito istituzionale, il dovere di decidere e di emanare direttive autorevoli e tempestive.
La decisionalità poi, è stata sovente titubante e tardiva. Il reperimento e l’acquisto dei mezzi di protezione personale e delle apparecchiature elettromedicali per la terapia, sono state il frutto di una elaborazione indaginosa, a fronte di un’esigenza incalzante e farraginosa nell’esecuzione. ln effetti, una volta di più è pesantemente mancata una apposita legislazione per l’emergenza, che semplifichi e renda rapidi gli iter amministrativi. Di converso, un piccolo, possibile esempio di efficacia gestionale, adeguata all’urgenza. Nel blocco quasi generalizzato dell’attività produttiva, lo Stato col proprio potere di indirizzo e di stimolo,
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avrebbe potuto tempestivamente far convertire alla produzione degli ausili mancanti l’industria dell’abbigliamento, del tessuto non tessuto, delle materie plastiche. L’acquisto all’estero per altro, in un momento di esplosione della domanda, si è dimostrato infatti difficile, lento ed impari all’esigenza. Ancora, l’approvvigionamento dello strumentario per i deficitari Reparti di Terapia intensiva, in un Paese a grande vocazione manifatturiera e con una buona e ben distribuita industria metalmeccanica, sarebbe stato pronto ed agevole se il governo, garantendo la proprietà intellettuale dei tipi esistenti in ltalia, avesse ripartito la produzione tra le aziende del settore, mobilitando tutte le risorse disponibili.
c. Qualche considerazione a margine.
La guida politica di un Paese in emergenza, per infondere fiducia nei cittadini, raccoglierne il consenso e suscitarne la convinta adesione, deve comunicare le proprie direttive, spesso pesanti e dolorose, con chiarezza e soprattutto, con univocità di messaggio. A tal uopo, nelle democrazie mature, quando incombe una grave crisi, vige la prassi che l’opposizione rinunci al proprio compito istituzionale, si costituisca un governo di unità nazionale o se è il caso, un Gabinetto di guerra.
Così non è stato. La nostra classe politica, in perenne campagna elettorale, ha incrudelito le paure, i lutti e le privazioni della pandemia con uno spettacolo disarmante e per nulla funzionale al terribile confronto in corso.
C’è un tempo per la politica politicante ed uno per la mobilitazione di tutte di tutte le risorse contro il nemico comune.
LA TENUTA DELLO STRUMENTO SANITARlO.
a. Il passaggio ad una logica di guerra.
Il Servizio Sanitario Nazionale normalmente opera con la logica di ” risorse infinite “. Quanto serve alla sua funzionalità, in un Paese industrializzato, è prontamente disponibile sul mercato interno ed anche impreviste, limitate
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esigenze, in un mondo interamente interconnesso, sono assolvibili quasi in tempo reale: a monte dello strumento sanitario esiste quindi, una planetaria disponibilità di mezzi e materiali. In atto però, il Servizio è stato proditoriamente catapultato in una emergenza, imprevedibilmente estesa e grave e per di più, in uno scenario mondiale intempestivamente mutato, in cui son tornati a fare barriera i confini. La situazione avrebbe razionalmente imposto una rapida conversione ad una logica di risorse finite “, possibile solo ad uno strumento diversamente strutturato, autosufficiente ed animato da una filosofia ad hoc “, un organismo orientato e pronto e capace di una gestione delle esigenze complessiva e tempestiva, per scala di priorità. Una tale struttura richiede, com’è comprensibile, una dirigenza orientata al crisis management e l’esistenza di scorte ed apprestamenti, per dilatare lo strumento ed adeguarlo in tempo reale, ad imprevedibili scenari.
Così non è stato, anche se la logica di guerra alla fine, obtorto collo e tacitamente, è stata applicata: si pensi un momento all’impiego generalizzato del triage, anche se in contrasto con il diritto alle cure di tutti i cittadini, previsto dalla Costituzione.
Venendo all’analisi dell’insuccesso, esso dipende dal fatto che la dirigenza è convinta spetti alla Protezione civile la gestione dell’emergenza e quest’ultima, non ne ha la caratura tecnica per affrontare esigenze cosi specifiche. Per quanto attiene poi agli accantonamenti ed alle predisposizioni di mobilitazione delle possibilità del sistema, Ie limitate risorse allocate nel settore sono giusto sufficienti ad assicurarne la normale funzionalità.
ln sintesi, questa plateale incapacità di adeguare la Struttura alla rilevante emergenza in corso, è dipesa da una carenza culturale della Dirigenza e da una cronica carenza di fondi. ln materia comunque di strutturazione e gestione del Servizio Sanitario Nazionale, tornerò ancora.
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b. 11 funzionamento in emergenza.
11 giudizio, per quanto attiene all’assistenza, è sicuramente positivo. La salda deontologia professionale del personale medico e paramedico ed una conclamata abnegazione, hanno assicurato l’assolvimento del compito, nonostante le lacune dell’Organizzazione. Turni massacranti e rapporti sanitari\assistiti, appesantiti in modo rilevante, rispetto alla normale routine, non hanno fiaccato la determinazione ad operare e la dedizione al dovere degli addetti.
Sono invece mancati, almeno nella fase iniziale della crisi, mezzi di protezione individuale per gli operatori ed apparecchi per la ventilazione forzata degli ammalati. La carenza poi di posti-Ietto in Terapia intensiva, frutto di miope pianificazione e di insufficienza di risorse, nonostante una notevole dilatazione del numero di quelli esistenti, ha incrudelito fino alla fase decisamente discendente della pandemia.
Risalta quindi, una deficienza di ” governance ” del Sistema, a livello nazionale, soprattutto regionale e locale. In merito, basta un confronto col rapporto posti-letto\posti in Terapia intensiva, degli altri Paesi europei.
Ancora, la carenza di personale sanitario nelle aree ” focus `’ della pandemia, che ha inciso sulla resistenza fisica ed intellettuale degli addetti, sarebbe stata evitata con una gestione complessiva e centralizzata del problema. 11 morbo infatti, non ha colpito in maniera uniforme l’intero territorio nazionale ed una regia unitaria delle risorse, avrebbe permesso di lenire le criticità localizzate.
La vera e propria ” strage degli innocenti ” poi, che ha colpito medici di base ed ospedalieri, torna ad onore dell’eroismo della categoria e disdoro della dirigenza, che li ha mandati allo sbaraglio inermi, privi di mezzi di protezione individuale e dj possibilità di rincalzi, di ricambio. Infine, altrettanto dolorosa è la pagina della moria che ha colpito la parte più fragile della società, gli anziani concittadini, spesso non autosufficienti delle RSA: chi aveva il compito di capirne le esigenze e di provvedere con direttive e mezzi, li ha abbandonati.
LA ” FABBRICA DELLA SALUTE lN ITALIA.
a. La regionalizzazione.
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L’aver attribuito alle Regioni la gestione della salute, specie a valle dell’emergenza pandemia, merita qualche necessaria, utile riflessione. Dagli eventi, è chiaramente emersa la mancanza di una salda ed efficace guida centralizzata e ciò, induce a valutare la funzionalità della parcellizzazione e compartimentazione dello strumento. Per altro, la comunicazione tra le varie sanità regionali e l’interoperabilità è stata minima, quando non assente. ln sintesi, è emersa l’inevitabilità del ricorso ad un risolutore di seconda istanza, lo Stato centrale, per altro non strutturato per la gestione di un settore già decentrato. Tornando al peccato originale ” della regionalizzazione, è di tutta evidenza che la burocrazia, necessaria a gestire il settore, ha dovuto essere moltiplicata per 22, con relativo aggravio dei costi e senza ritorno alcuno per altro, di risultati paganti.
Passando al diritto costituzionale alla salute, esso nel nostro Paese è coniugato in una miriade di modi diversi, con buona pace del principio democratico che richiederebbe una sua perfetta riproducibilità dalle Alpi a Capo Lilibeo.
A livello minimo, l’articolazione in materia ha sovente prodotto risultati surreali, quali ad esempio i costi incredibilmente differenti nelle varie Regioni della semplice siringa mono uso. A livello macro poi, alcune di queste Sanità sono anche tecnicamente fallite, senza che il Governo centrale abbia operato una doverosa analisi della disfunzione ed abbia emanato gli idonei interventj correttivi ( forse commissariamento? ): Io Stato, proprio per il citato diritto dei cittadini alla salute, si è limitato a ripianare i dissesti.
lnfine, una maliziosa considerazione a latere. Forse, la rilevanza del budget Sanitario può aver esercitato un fascino irresistibile sulla classe politica locale’
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b. Il funzionamento della fabbrica “. La ridondanza della burocrazia, generata dalla regionalizzazione, ha con tutta evidenza scompensato I’organigramma delle sanità locali: il numero degli operatori”indiretti è risultato eccessivo,a fronte dei”diretti’`,che poi sono i reali produttori del servizio. Questo dimorfismo della struttura incide, come da scienza dell’Organizzazione, sulla funzionalità, ma soprattutto sul corretto impiego delle risorse finanziarie, per altro in un regime di costanti restrizioni della spesa pubblica. Cosi,nel corso degli anni si è continuamente lesinato sulle infrastrutture e sul personale sanitario, evitando accuratamente di incidere sulla elefantiaca burocrazia. Tagliare quando è necessario, non è di per se una iattura se l’operazione procede con raziocinio, salvaguardie prioritarie, utili economie di scala e qualificazione della spesa.
L’aver ridotto il numero dei posti- letto è stata una scelta logica, come l’aver spinto sulla ” one day surgery , ma avrebbe richiesto qualche utile correttivo. Sarebbe stato necessario non comprimere la ricettività dei pronto soccorso e lasciare una riserva di dilatazione delle degenze, mettendo in naftalina ” ( manutenute pronte al reimpiego ) infrastrutture dismesse ancora in buono stato, quando addirittura nuove.
Ancora, aver limitato i posti letto delle Terapie intensive è stata una scelta economica, ma miope: in emergenza è problematico un loro incremento, per l’esigenza di infrastrutture specializzate e di apparecchiature costose e pure limitatamente disponibili, sul mercato interno.
In linea generale poi, l’aver costruito dei ” castelli della salute “, col ponte levatoio sollevato, ha impedito, l’utile visione complessiva, le opportune economie di scala, la funzionale prassi di cooperazione ed interoperabilità.
Il territorio avrebbe dovuto essere analizzato, non in base ad una astratta suddivisione regionale, ma per morfologia, carico antropico, potere impeditivo di ostacoli naturali, possibilità dj comunicazione,
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ln sintesi, era la geografia che avrebbe dovuto disegnare un sistema sanitario veramente nazionale, funzionale nell’assicurare la salute ai cittadini e razionale nell’impiego delle risorse.
Conclusioni.
Questi appunti per il dopo, naturalmente sommari, vergati come sono, sotto I’incalzare dell’emergenza, sono ovviamente opinabili, ma possono e devono costituire utile innesco di una opportuna, razionale riflessione sull’accaduto.
E’ pur vero che I`assioma “ la storia è ( o dovrebbe essere ) maestra di vita” in realtà sia una pia illusione: gli uomini hanno dimostrato da sempre una insopprimibile tendenza all’analfabetismo, non sanno leggerla.
Stavolta però, una media città italiana è stata cancellata all’esistenza. Il doveroso rispetto per le tante, troppe vite spezzate, le rinunce cui tutti siamo stati costretti, il grave danno all’economia del Paese meritano una seria ed approfondita riflessione, sotto l’imperativo etico che ciò non accada mai più.
lo ho portato la mia piccola favilla; coraggio, accendiamo un bel fuoco rigeneratore ,che faccia germinare idee e soluzioni costruttive per il futuro.
Roberto Mailli
Firenze,
Gloria Vannini
22 Aprile 2020
1) negli ultimi venti anni vi è stato un preciso intento di distruggere la sanità pubblica a partire dalla facoltà di medicina che è stata smembrata e trasformata per cui i medici giovani non sanno più cosa è la semiologia e noi ormai pensionati dobbiamo continuare a lavorare perché siamo i soli che fanno diagnosi senza usare le check lists (e in una situazione di emergenza non usare le check lists ma il proprio cervello è fondamentale, ma bisogna essere abituati)
2) il medico è stato sempre visto dai politici molto pericoloso proprio a causa di quanto scritto nell’articolo: il diritto alla salute e alla vita viene visto come un intralcio grave alle speculazioni politiche ed economiche al punto che i primari sono scelti dai politici in funzione non delle loro competenze ma della loro connivenza con il politico di turno e così ci ritroviamo con tanti Schettino che spesso è persino inutile ascoltare. Pochi tra loro ormai esprimono qualcosa riferito alle evidenze scientifiche e non agli interessi economici e politici
3) la sanità come la scuola non può avere un ordinamento regionale ma solo ed esclusivamente nazionale perché altrimenti succede lo sfacelo a cui abbiamo assistito
4) quando si parla di vaccinazioni non si può pensare alla quotazione in borsa delle case farmaceutiche e alla battaglia dei titoli in borsa ma bisogna avere l’onestà di pensare alla salute dei cittadini. Molti vogliono la riapertura solo perché in questo momento i titoli delle case farmaceutiche volano in borsa a discapito degli altri e come prima sostenevano i no-vax adesso sostengono la riapertura a tutti i costi
5) politico non è solo colui che tutela la libertà del cittadino ma anche la salute e il diritto all’istruzione e al lavoro. Se delle politiche scellerate ci hanno messo in questa situazione sappiamo che in condizioni di emergenza è possibile limitare temporaneamente il diritto alla libertà e fare quello che è stato fatto per limitare il numero dei morti. Se non venivano prese queste misure erano stati calcolati come possibili 10 milioni di morti e quindi io oggi sono contenta di aver limitato la mia libertà per salvare 9.770.000 persone.
6) da anni nell’ambiente medico sapevamo che la sanità della Lombardia era tutto fumo negli occhi e niente sostanza. Negli ultimi dieci anni hanno fatto politiche sanitarie folli che nemmeno il Veneto e la Liguria avevano accettato e sebbene in silenzio e quasi di nascosto (perché contro i Lombardi non si poteva andare) queste due ultime regioni non avevano abbandonato il progetto di una medicina territoriale ben organizzata e rispondente alle necessità dei cittadini
7) la medicina territoriale non è solo una questione di salute ma di difesa e un paese civile deve averla. Ecco perché l’Europa ci dà i fondi per realizzare la medicina della prevenzione e vuole essere sicura che questi soldi vanno veramente alla prevenzione e non altrove. Dobbiamo prepararci ad ogni forma di guerra e dobbiamo farlo in modo trasversale non c’è né destra né sinistra c’è solo la tutela del diritto alla salute, al lavoro e allo studio delle persone
8) la libertà delle idee è sempre stata tutelata in questi due mesi attraverso l’informazione e i dibattiti, le forze di opposizione sono state chiamate davanti alla TV per esprimere il loro pensiero ma non hanno capito che il momento era di una tale emergenza da non consentire commenti inutili e invece hanno continuato a fare i soliti teatrini, non hanno fatto autocritica. L’unico esponente di destra che si è comportato in modo deciso e corretto è stato Zaia che infatti è rispettato da tutti ma è anche quello che è comparso meno in TV forse perché ha lavorato molto. Non dimentichiamo che la Toscana utilizza lo stesso test seriologico che usa il Veneto mentre quello di Pavia è improponibile
Vi ringrazio per avermi ascoltato, avrei molte cose da dire soprattutto per la tutela dei più deboli.
———————–
17 Giugno 2020
cara Dania per rispondere alle tue richieste scrivo quanto segue:
Dal dibattito avvenuto in questi mesi all’interno della sezione fiorentina della LIDU sono emerse le seguenti proposte per la fase 2 e 3 dell’emergenza Covid:
1) utilizzo dei fondi europei per riequilibrare l’organizzazione in ogni regione italiana: dove manca l’organizzazione territoriale deve essere implementata,viceversa dove manca l’organizzazione ospedaliera questa deve essere realizzata
2) applicazione delle procedure stabilite dal consigli Sanitario Superiore riguardo al contenimento dei focolai per prevenire la seconda ondata o una recrudescenza del contagio
3) stretta sorveglianza di tutti i centri per anziani, disabili, carceri e ogni tipo di comunità (laiche e non laiche)
4) mantenimento delle mascherine e distanza di sicurezza ma con comportamenti alternativi finalizzati a far riprendere i rapporti sociali al fine di prevenire eventuali disagi della salute psichica dei soggetti
5) richiesta alle fonti informative di riportare non solo ciò che va male ma anche esperienze positive ciò allenta le reazioni fobiche delle persone e contribuisce a ridurre il livello di ansia sociale
Giuseppe Cardillo
20 Aprile 2020
Cara Presidente,
dunque abbiamo da aggiungerne altri alle centinaia di virologi, epidemiologi, economisti e tuttologi? Quelli della fase 2, del liberi tutti e amici come prima.
Intanto vadano a Trespiano, dove ogni giorno i camion militari in arrivo dalla Lombardia fanno la coda per entrare nel parcheggio del forno.
Prendiamo atto che in Italia, il Paese dove un noto professore assicurava a inizio febbraio che trattavasi di una banale influenza, e il governo rassicurava che ci avrebbe fatto un baffo in quanto garantiti dal migliore Servizio Sanitario del mondo (sic, testuali parole), si muore dieci volte di più che in Germania.
Ogni dieci tamponi, in Italia uno almeno é positivo.
Dunque, a tamponare i 60 milioni di italiani, 6 milioni sarebbero gli infettati con o senza sintomi: esattamente come dicono di noi gli epidemiologi di tutto il mondo.
Come dicono poi i numeri che ci danno, abbiamo oltre un morto ogni 10 casi di infezione. Dunque 6 milioni di infetti diviso 10 fa seicentomila morti, come i morti nella prima guerra mondiale. Con la felice differenza che in tempo di guerra i padri seppellivano i figli e in tempo di pace i figli seppelliranno i padri.
A toglierne la metà per essere ottimisti e fiduciosi nel noto professore e nel Servizio Sanitario migliore del mondo (quello incapace di fare il tampone persino ai medici di base e che per una TAC per sospetto tumore impone un anno di attesa) andiamo al numero di 300.000 salme a conclusione delle diverse fasi dell’epidemia.
Salvo, ovviamente, che il virus faccia il piacere di mutare per conto suo e divenire meno letale, risparmiandoci il giudizio universale che immagino il Belli al tempo dell’epidemia di colera:
ER GIORNO DER GIUDIZZIO
Giuseppe Gioacchino Belli
Quattro angioloni co le tromme in bocca
se metteranno uno pé cantone a sonà: poi co tanto de vocione cominceranno a dì: fora a chi tocca.
Allora vierà sù una filastrocca de schertri da la terra a pecorone, pe ripjà figura de perzone, come purcini attorno de la bbiocca. E sta bbiocca sarà ddio benedetto,
che ne farà du’ parte, bianca, e nera: una pe annà in cantina, una sur tetto. All’urtimo uscirà ’na sonajera d’Angioli, e, come se s’annasse a letto, smorzeranno li lumi, e bona sera.
ARMANDO NICCOLAI
10 Maggio 2020
Cara Dania,
Risponderò in modo sintetico al tuo sondaggio.
1.Certo che è opportuno riaprire tutto, pur con le precauzioni previste. Considera che siamo l’unico paese industrializzato (il 7° nel mondo) che ha tenuto agli arresti domiciliari l’intera popolazione per più di due mesi. Se si dà ascolto ai cosiddetti scienziati, dovremmo stare a casa anche per evitare una epidemia di influenza. E’ vero che questa non è un’influenza, ma deve essere chiaro che o si sta chiusi in casa per altri otto mesi in attesa del vaccino, oppure, qualunque sia la data della riapertura, dovremo convivere con il virus. C’è un indicatore che stabilisce il numero di persone che possono essere infettate: deve essere minore di 1. In Germania (dove si è chiuso per 10 giorni e non tutto) e negli altri paesi europei, si riapre con un fattore di 0,92. Noi siamo a 0,5/0,7. Cosa dobbiamo ancora aspettare? Che la nostra economia scompaia e diventi il pasto di coloro che hanno saputo amministrare bene il loro Stato?
2.La sanità ha fallito su tutta la linea, purtroppo. 5000 terapie intensive in tutta Italia a fronte delle 25000 della Germania. Dottori mandati a curare senza protezioni, malati mandati nelle case di riposo per vecchi, notizie discordanti tra esperti che tutto sono meno che esperti. Mi fermo qui, ma potrei continuare per mezz’ora. Il problema non è chi gestisce (Regioni o Stato) il problema è che ci debbono essere regole uguali per tutti dettate dallo Stato e controllate e fatte rispettare.
Un carissimo saluto,
Armando
ALESSANDRO PINI
11 Maggio 2020
Carissimo Presidente,
In questo periodo tutto funziona un po’ peggio sul WEB perché linee ed applicativi sono sovraccarichi dal momento che la maggior parte di coloro che sono temporaneamente disoccupati e segregati si sta sfogando con mail, whatsapp, telelavoro, video conference con ufficio, zoom con amici, nipotini etc. e superproduce opinioni, più dettate dalla noia o dalla nevrosi che da una vera competenza, e si premurano poi di diffonderle ad ampio raggio a beneficio di tutta l’umanità (!?).
Mi arrivano tutti i giorni filmati, interviste con pareri di opinionisti, complottisti, politologi, sedicenti esperti e scienziati di cui l’unica caratteristica comune è che sono tutti in contrasto tra di loro, tutti pretendono di possedere verità definitive e sorprendentemente rivelatrici e l’unico effetto che sortiscono è quello di irritarmi e farmi sentire vecchio ed intollerante.
Rispondo quindi volentieri confermandoti che concordo pienamente con quello che hai scritto: cercando di attingere solo alla migliore stampa come mezzo di informazione si possono infatti dedurre alcune cose che cerco di elencare qui di seguito.
– Anche i VERI esperti al momento hanno una visione solo di massima e quando si cerca di scendere nel particolare di origine, durata, evoluzione del virus, terapie efficaci e simili, la cautela è d’obbligo.
– La mortalità per solo coronavirus è inferiore a quella della semplice influenza? Chi è deceduto soffriva per lo più anche di altre gravi patologie? Anche ammettendo che sia vero, la contagiosità è manifestamente tale che in zone come Bergamo, dove hanno chiuso le fabbriche con qualche giorno di ritardo rispetto a quando avrebbero dovuto (per compiacere gli industriali) la mortalità è stata del 550 % superiore allo stesso periodo dello scorso anno: con solo 5000 posti letto in terapia intensiva in tutta Italia se non fosse stata limitata la libertà di comportamento presto ci saremmo trovati a dover decidere chi poteva avere speranza di guarigione e chi invece era condannato, ipotesi indegna di un paese civile. Quanto alla pluralità delle patologie, nelle persone anziane soprattutto, molte di queste erano diabete, col quale si può convivere, tumori, che si curano e comunque nei vecchi hanno una lentissima evoluzione, ed altre patologie in cui magari la cura causava una immunodeficenza in cui il virus si è insinuato perniciosamente, ma senza Covid quelle persone non sarebbero mai arrivate alla crisi respiratoria o alla trombosi per infiammazione delle arterie che ha definitivamente e prematuramente causato il decesso.
– Di fronte alla emergenza che impone scelte imperfette (il meno peggio, perché l’ottimo non è disponibile) si impone a chi ha delle responsabilità di scegliere la strada della massima prudenza, che mi pare sia stata per lo più intrapresa.
Non vedo perciò di quale iniziativa potremmo farci paladini se non richiamare tutti a quella compassione che gli egoismi di stati, di categorie sociali, di tanti singoli individui sembrano aver accantonato lasciando posto solo ad un comportamento indecente dettato da interessi venali. Poiché questa tua lettera mi è arrivata più tardi che agli altri, ho il vantaggio di poter fruire (Corriere della Sera di oggi) delle curve di perniciosità del virus in Danimarca, Norvegia, Finlandia, che hanno adottato politiche di contenimento, e Svezia che, a parità di clima e di ogni altra condizione, ha scelto di consentire libertà e fiducia ai singoli: in un semplice sguardo a quella linea gialla che, pur nella civilissima Svezia, si impenna in maniera quasi verticale rispetto alle altre tre che hanno un andamento orizzontale e`, a mio parere, la risposta al tuo piccolo referendum. Lasciamo che sia la prudenza e la solidarietà a dettare quali siano le scelte per il futuro. Riaprire? Si`, ma con regole rigorose e rigorosamente controllate. Quanto alla sanità, come sono della opinione che, per esempio, l’istruzione, la distribuzione dell’acqua ecc. in un paese moderno debbano essere competenza esclusiva dello Stato, anche il diritto alla salute necessita di un alto patronato centrale senza distinzione tra regione ricche e regioni povere.
Alessandro
Giuseppe Cardillo
11 Maggio 2020
Chiedo ad Alessandro di poter firmare anch’io il suo documento.
Nulla si deve aggiungere alle sue osservazioni.
Grazie per l’iniziativa.
Giuseppe
Paolo Nardi
12 Maggio 2020
Per ora rispondo telegraficamente alle tue domande; sai già come la penso per cui
sarà sempre troppo tardi per riaprire tutto ciò che è stato proditoriamente bloccato
le cure esisterebbero già, altre sono sulla buona strada, come la siero-terapia da guariti, che abbisognano solo di una casistica più approfondita per una certezza. A questo punto il tanto sbandierato vaccino non serve più a nulla perché per essere efficace va fatto prima che inizi l’epidemia, non dopo.
E’ il nostro SSN, sbandierato come il più bello del mondo, che si è dimostrato inefficiente, incapace di fornire ai sudditi un’assistenza reale schiacciato da una burocrazia elefantiaca; sto scrivendo qualcosa di più dettagliato.
Un abbraccio. Paolo
altra Risposta del 9 Luglio 2020
E’ fuori di dubbio che l’imputato dei disservizi resesi evidenti durante questa epidemia sia la Sanità Pubblica che non ha saputo rispondere in maniera adeguata alle esigenze del momento. Questa istituzione trova il suo inizio con la Legge Mariotti del 1968 che istituisce e organizza gli Enti Ospedalieri, costituisce il Fondo nazionale ospedaliero e introduce la programmazione ospedaliera attribuendone la competenza alle Regioni. È la premessa per la nascita del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), istituito dalla legge n°833 del 1978 e costituito dal “complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione”. Questo ente, nelle intenzioni del legislatore intendeva riunire in unico ente tutta una serie di casse mutue fra le quali le due più importanti erano L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattierinominato con il Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 3 maggio 1947 n. 435 che sostituiva il precedente Ente mutualità fascista – Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori, istituito durante il governo Mussolini con Regio Decreto dell’11 gennaio 1943 n. 138, e l’Ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti statali, meglio conosciuto con l’acronimo ENPAS istituito durante il regime fascista con la legge 19 gennaio 1942 n. 22 per provvedere alla previdenza e all’assistenza sanitaria dei dipendenti delle amministrazioni statali e dei loro familiari. Esistevano altre Casse Mutue ad interesse locale per i dipendenti da municipalizzate, da Enti locali che furono inglobate insieme alle due principali nel SSN.
La legge 3/2001 (riforma del Titolo V della Costituzione) all’art. 117 ridisegna le competenze di Stato e Regioni in materia sanitaria. Lo Stato ha competenza esclusiva per la profilassi internazionale, determina i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti sul territorio nazionale” e i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente. Ogni Regione assicura i servizi di assistenza sanitaria e ospedaliera. Dal 2001 gli accordi tra Stato e Regioni sono lo strumento con cui si disegna l’assistenza pubblica in Italia.
La situazione sanitaria del Paese continua a cambiare. Grazie a migliori condizioni igienico-sanitarie, disponibilità di vaccini, evoluzione della medicina, presenza di farmaci innovativi, accesso diffuso a cure e prestazioni per tutta la popolazione, l’aspettativa di vita è cresciuta. Sono però aumentate le malattie croniche, quelle cardiovascolari e i tumori.Obiettivo strategico non è solo curare, ma prevenire e mantenersi in buona salute nel corso della vita. Molte malattie si possono evitare, e curare grazie alla diagnosi precoce intervenendo sui principali fattori di rischio modificabili (tabagismo, abuso di alcol, scorretta alimentazione, sedentarietà).
Nelle more dell’iter parlamentare ci furono, nelle varie regioni italiane, dei dibattiti sulle proposte che i vari Ordini dei Medici intendevano presentare e eventuali critiche sulle parti che il Consiglio dei Ministri aveva già approvato per la presentazione al Parlamento. In una di queste occasioni, essendo ormai evidente che il modello seguito era quello del Welfare inglese, intervenni per rilevare che l’Inghilterra stava pesantemente modificandolo perché farraginoso, oltremodo costoso e non rispondente alle esigenze reali della salute pubblica. La mia voce rimase sola e quindi inascoltata. Risulta poi che fui un facile profeta.
Tutto bello, tutto apparentemente idilliaco senonché fino da subito sono cominciate le magagne. Sarebbe troppo facile pensare al solito carrozzone statale, ma è finita proprio così. Un apparato elefantiaco, costosissimo oltre ogni ragione, inefficiente e costantemente in ritardo sugli standard nel rispondere alle esigenze del malato, gestito da una burocrazia ottusa, spesso contraddittoria e punitiva nei confronti del personale sanitario, soprattutto medico. Quest’ultimo, in buona parte si adagiò alla routine sopraffatto dalle scartoffie, dal budget di spesa e altre amenità, perdendo per strada una parte bellissima della professione che è il rapporto col paziente e di fatto spostando il centro di cura principale dal territorio all’Ospedale. Cambiò drasticamente anche il rapporto economico fra Ente e professionista; ai tempi delle mutue veniva pagato a prestazione diversificata se ambulatorie, domiciliare, d’urgenza festiva o notturna; con SSN nacque la quota capitaria annua: ogni medico riceveva, visitasse o no, una quota annua per ogni paziente che lo aveva scelto. Dopo poco ci si accorse che vi erano professionisti con una lunga lista di pazienti, altri con liste più corte per cui fu disposto, in nome di un appiattimento generalizzato, una quota massima oltre la quale non era concesso andare con buona pace del merito. Ecco come il medico è diventando di fatto anch’esso un burocrate ad orario fisso, con settimana corta, riposo notturno assicurato, con ferie e TFR. E’ esperienza diretta che di notte e durante il fine settimana i Pronto Soccorsi ospedalieri sono intasati da pazienti con codici di gravità bassi a scapito delle urgenze. Esemplificativa di questa mentalità è una circolare del Presidente dell’Ordine dei Medici di Udine rivolta ai pazienti: per adire a un ambulatorio del medico di base, anche se con febbre superiore ai 38°, occorre assolutamente prenotare ed aver un triage telefonico; quest’ultimo è un eufemismo che praticamente significa visita per telefono conclusa con la prescrizione di farmaci e di esami come è diventata prassi corrente di alcuni colleghi. Per le medicine è facile perché gli studi medici sono spesso adiacenti a farmacie dove viene lasciata la ricetta che il paziente o chi per esso, passa a ritirare; non parliamo poi delle visite al domicilio del paziente che praticamente non esistono ma che se effettuate avrebbero di molto alleggerito il flusso di ricoveri, il paziente che è guarito in ospedale poteva disporre della stessa assistenza al proprio domicilio, in condizioni psicologiche indubbiamente più favorevoli evitando fra l’altro, il rischio di infezioni crociate ben note in ambiente ospedaliero, ed ugualmente guarire. Altra e più triste storia per la diagnostica strumentale che ha subito una costante escalation quando spesso un’accurata visita potrebbe evitarne il ricorso; per i pazienti c’è da superare un grossissimo ostacolo, il famigerato CUP (Centro Unico Prenotazioni) con personale burocratico in crescita esponenziale, con linee sovraccariche e quindi attese ed appuntamenti fissati dopo mesi e/o presso strutture lontane anche chilometri. Solo da poco si sono levate voci su la necessità di rivalutare la medicina del territorio per evitare di intasare, com’è accaduto, le strutture ospedaliere; tale esorbitante presenza di soggetti ha anche indubbiamente favorito la diffusione del virus infettando chi era in rianimazione magari per uno scompenso cardiaco.
Toccando il tasto dolente dei costi si è passati dalla gratuità con le vecchie mutue a dover pagare per ogni prestazione una quota secondo le fasce reddituali per coprire il deficit, in crescita esponenziale, con una schizofrenia per cui spesso sia per la farmaceutica che per le diagnostica il ticket è di entità superiore al costo del farmaco se fornito senza la ricetta del SSN e lo stesso fenomeno per gli esami strumentali con tempi di attesa minimi e con costosi inferiori se fatti nel privato. Anche per gestire i vari ticket si è assistito ad un aumento del personale amministrativo: il cittadino si deve recare al proprio distretto dove c’è un ufficio apposito che modifica la tessera sanitaria memorizzando la fascia magnetica. Il solito cittadino con la richiesta del medico di base si presenta, previo appuntamento telefonico, all’addetta all’accettazione che scansiona la tessera sanitaria e il codice a barre della richiesta dopo di che fornisce al paziente un modulo da inserire in una macchina, tipo bancomat, che stampa la ricevuta del pagamento da riportare all’addetta che ne rende una metà con un altro foglio da presentare ad un’altra persona che mette in attesa per la prestazione. Se il medico richiedesse qualche indagine strumentale si ripercorre lo stesso iter per ogni indagine.
Per questo fu deciso di razionalizzare la spesa per evitare che le siringhe monouso potessero costare secondo le regioni dai 4 centesimi ai 24, le suturatrici anch’esse monouso da €188 a €520, le garze da €2,82 a €7,47, e le protesi d’anca da € 284 a €2.575.
La Lega italiana dei diritti dell’Uomo partecipa al dolore della famiglia per la morte, a 94 anni, del giornalista e scrittore Arrigo Levi.
Levi è stato un faro del giornalismo italiano e ad ha ricoperto importanti incarichi tra i quali ricordiamo: corrispondente da Mosca prima per il Corriere della Sera e poi per Il Giorno, Direttore de ”La Stampa”, consigliere per le relazioni esterne del Presidente Carlo Azeglio Ciampi e del Presidente Giorgio Napolitano.
Lo ricordiamo come autorevole punto di riferimento per coloro che si riconoscono nella cultura laica italiana, nonché autorevole esponente del mondo ebraico.
Arrigo è stato in prima linea nella difesa dei diritti umani. Infatti è stato autorevole componente della Commissione per i diritti umani della Presidenza del Consiglio dei Ministri, presieduta da Paolo Ungari.
Scopo della Commissione era quello di fornire al Presidente del Consiglio pareri sul delicato tema dei diritti umani e svolgere indagini.
La Commissione svolse importanti e riservate missioni in Pakistan ai confini con l’Afghanistan ed in Cile durante la dittatura Pinochet, in Italia organizzò il primo incontro delle ONG ed associazioni operanti a tutela dei diritti umani.
La Lidu, in riconoscimento dell’impegno profuso a difesa dei diritti umani, nel 2008 ha conferito ad Arrigo Levi il Premio “Paolo Ungari”, istituito per premiare personalità che si sono particolarmente distinte nella difesa dei diritti umani
Articolo di Eugenio Ficorilli – presidente Lega Italiana dei Diritti dell’UomoFonte : Daily Cases
La presidente della Lidu onlus di Firenze, arch. Dania Scarfalloto Girard, esprime preoccupazione per i troppi eventi di violenza contro le donne che si sono verificati in periodo di lockdown. Non bisogna abbassare la guardia ed è un dovere intervenire anche solo ricordando la normativa che introduce e condanna la violenza di genere.
Il periodo di lockdown dovuto all’emergenza sanitaria per pandemia da coronavirus ha portato gravi ripercussioni su tutta la popolazione: economiche ma anche psicologiche per ogni categoria sociale. Ma tra tutte va evidenziata quella subìta da molte donne, che costrette in casa con i loro ‘aguzzini’ hanno visto aumentare in modo esponenziale la violenza contro di loro. Anche l’Oms è intervenuta poichè “profondamente turbata dalle segnalazioni di molti paesi di un aumento delle violenze contro donne e uomini, da parte del partner, e contro i bambini, collegate a Covid-19” come riferisce Hans Kluge, direttore regionale per l’Europa, che denuncia il preoccupante aumento del numero di chiamate di donne aggredite dal partner, che sono almeno 5 volte di più del pre-lockdown. Un fenomeno che ha colpito anche il nostro Paese e che va combattuto prima di tutto con una corretta informazione e anche con la necessaria formazione culturale delle giovani generazioni. Un compito compreso nella tutela dei diritti umani che la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo persegue fin dal 1919 e che la presidente del comitato di Firenze, arch. Dania Scarfalloto Girard, ha come primo punto del suo programma. Ricorda infatti in un suo scritto odierno sui social dedicati alla sua attività umanitaria sulla violenza di genere (Art. 1, Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne, Vienna, 1993)
“Con l’espressione violenza di genere si indicano tutte quelle forme di violenza da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso. Spesso si parla di violenza di genere per caratterizzare le diverse forme di violenza agite contro le donne, ma non solo. Le Nazioni Unite in occasione della Conferenza Mondiale sulla Violenza contro le Donne tenutasi a Vienna nel 1993, la definiscono come ogni atto legato alla differenza di sesso che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale, psicologico o una sofferenza della donna, compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o l’arbitraria privazione della libertà sia nella vita pubblica che nella vita privata. “La violenza fisica comprende qualsiasi atto volto a far male o a spaventare la vittima e, nella maggior parte dei casi, a procurare lesioni. Non riguarda solo l’aggressione fisica grave, che richiede cure mediche d’emergenza, ma anche ogni contatto fisico finalizzato a spaventare e a rendere la vittima soggetta al controllo dell’aggressore, poiché anche forme minori di questo tipo di violenza possono essere estremamente nocive, in quanto possono essere percepite come una minaccia alla vita di chi le subisce. Nel maltrattamento fisico, la componente psicologica più pesante consiste nell’imprevedibilità dell’aggressione, in quanto qualsiasi pretesto può essere motivo scatenante. Questo induce la vittima potenziale a consumare tutte le sue energie nel tentativo di evitare comportamenti che possano far irritare il suo carnefice, provocando così una sua aggressione fisica o verbale”.
Dati:
Nelle prime due settimane di marzo, rispetto allo stesso periodo del 2019,le telefonate al numero verde nazionale 1522, sempre attivo, gestito dal “Telefono Rosa” sono diminuite del 55,1% – da 1104 a 496 – mentre nei primi 22 giorni del mese le denunce per i reati di maltrattamento sono passate dalle 1157 dell’anno passato a 652.
In Italia, dove l’anno scorso l’81,2 per cento dei femminicidi si è consumato all’interno della famiglia, la misura di quella che da più parti è stata indicata come “un’emergenza nell’emergenza” sta nel calo delle telefonate e delle denunce, è stato più difficile denunciare se non addirittura impossibile.
Lettera aperta su “Harper’s Magazine” di 150 intellettuali contro una nuova intolleranza, tra gli accademici, scrittori, giornalisti e artisti di fama mondiale che hanno sottoscritto la lettera. Le reazioni molte contraddittorie sono risultate a scapito del dibattito aperto e hanno permesso al conformismo ideologico di erodere la tolleranza delle differenze. “Le cattive idee si sconfiggono attraverso la loro esposizione, l’argomentazione e la persuasione, non cercando di zittire o allontanarle. Rifiutiamo qualsiasi falsa scelta tra giustizia e libertà. L’una senza l’altra” non possono esistere, aggunge la lettera.” Il libero scambio di informazioni e idee sta diventando sempre più limitato, avvertono i firmatari che aggiungono che la censura si sta diffondendo ampiamente in tutta la cultura attraverso la pratica del “public shaming”, la “gogna pubblica”, Le proteste che stanno scuotendo gli Stati uniti a seguito della morte di George Floyd animate dal movimento Black Lives Matter riaccendono le contraddizioni di un Paese che sembra incapace di fare i conti con la propria storia. Non c’è nulla di buono nella furia politicamente corretta che abbatte statue e cancella la storia: è il frutto avvelenato della politica dell’identità e di un atteggiamento liberal-totalitario molto pericoloso che si sta facendo strada negli Stati Uniti, soprattutto negli ultimi anni, e che dilaga in tutto l’Occidente. Un appello a non trasformare le proteste per la giustizia razziale “in un brand dogmatico e coercitivo”
Lo scambio libero di informazioni e idee, la linfa vitale di una società liberale, viene soffocato ogni giorno di più. La tendenza alla censura si sta diffondendo anche nella nostra cultura: un’intolleranza per le opinioni diverse, l’abitudine alla gogna pubblica e all’ostracismo, e la tendenza a risolvere complesse questioni politiche con una vincolante certezza morale. Ma molti però hanno criticato questa lettera. Sono in tanti a non essere d’accordo con la lettera. L’obiezione principale che viene mossa alle posizioni espresse dai firmatari è che si ergano a difensori della libertà di espressione quando in realtà vogliono mantenere una forma radicata e subdola di potere, che esclude le minoranze. Non a caso, dice spesso chi sostiene questa posizione, chi si lamenta del restringimento dei confini della libertà di espressione è soprattutto «maschio, bianco e anziano»: un’espressione ormai usatissima online per identificare una categoria che ha sempre occupato una posizione privilegiata nella cultura occidentale, e che adesso – dicono – si sente minacciata.
La lettera 7 luglio 2020 “Le nostre istituzioni culturali stanno affrontando un momento di prova. Potenti proteste per la giustizia razziale e sociale stanno portando a richieste di riforma della polizia in ritardo, insieme a richieste più ampie di maggiore uguaglianza e inclusione in tutta la nostra società, non ultimo nell’istruzione superiore, nel giornalismo, nella filantropia e nelle arti. Ma questo necessario calcolo ha anche intensificato una nuova serie di atteggiamenti morali e impegni politici che tendono a indebolire le nostre norme di dibattito aperto e tolleranza delle differenze a favore della conformità ideologica. Mentre applaudiamo al primo sviluppo, alziamo anche la nostra voce contro il secondo. Le forze del il liberalismo stanno guadagnando forza in tutto il mondo e hanno un potente alleato in Donald Trump, che rappresenta una vera minaccia alla democrazia. Ma non si deve permettere alla resistenza di indurirsi nel proprio marchio di dogma o coercizione, che i demagoghi di destra stanno già sfruttando. L’inclusione democratica che vogliamo può essere raggiunta solo se parliamo contro il clima intollerante che si è manifestato da tutte le parti. Il libero scambio di informazioni e idee, linfa vitale di una società liberale, sta diventando sempre più limitato. Mentre ci aspettiamo questo dalla destra radicale, la censura si sta diffondendo anche più ampiamente nella nostra cultura: un’intolleranza di visioni opposte, una moda per vergogna pubblica e ostracismo e la tendenza a dissolvere complesse questioni politiche in una accecante certezza morale. Sosteniamo il valore di un contro-discorso robusto e persino caustico da ogni parte. Ma ora è fin troppo comune sentire richieste di punizione rapida e severa in risposta alle trasgressioni percepite del linguaggio e del pensiero. Ancora più preoccupanti, i leader istituzionali, in uno spirito di controllo del danno in preda al panico, stanno offrendo punizioni affrettate e sproporzionate invece di riforme ponderate. Gli editori vengono licenziati per l’esecuzione di brani controversi;i libri vengono ritirati per presunta inautenticità;ai giornalisti è vietato scrivere su determinati argomenti;i professori vengono indagati per aver citato opere letterarie in classe;un ricercatore viene licenziato per aver fatto circolare uno studio accademico peer-reviewed;e i capi delle organizzazioni vengono espulsi per quelli che a volte sono solo errori goffi.Qualunque siano le argomentazioni su ogni particolare incidente, il risultato è stato quello di restringere costantemente i confini di ciò che si può dire senza la minaccia di rappresagliatiamo già pagando il prezzo con maggiore avversione al rischio tra scrittori, artisti e giornalisti che temono per i propri mezzi di sussistenza se si discostano dal consenso o mancano di sufficiente zelo nell’accordo.un ricercatore viene licenziato per aver fatto circolare uno studio accademico peer-reviewed;e i capi delle organizzazioni vengono espulsi per quelli che a volte sono solo errori goffi.ualunque siano le argomentazioni su ogni particolare incidente, il risultato è stato quello di restringere costantemente i confini di ciò che si può dire senza la minaccia di rappresaglia.Stiamo già pagando il prezzo con maggiore avversione al rischio tra scrittori, artisti e giornalisti che temono per i propri mezzi di sussistenza se si discostano dal consenso o mancano di sufficiente zelo nell’accordo.n ricercatore viene licenziato per aver fatto circolare uno studio accademico peer-reviewed;e i capi delle organizzazioni vengono espulsi per quelli che a volte sono solo errori goffi.ualunque siano le argomentazioni su ogni particolare incidente, il risultato è stato quello di restringere costantemente i confini di ciò che si può dire senza la minaccia di rappresaglia.tiamo già pagando il prezzo con maggiore avversione al rischio tra scrittori, artisti e giornalisti che temono per i propri mezzi di sussistenza se si discostano dal consenso o mancano di sufficiente zelo nell’accordo. Questa atmosfera soffocante alla fine danneggerà le cause più vitali del nostro tempo.La restrizione del dibattito, da parte di un governo repressivo o di una società intollerante, invariabilmente fa male a coloro che mancano di potere e rende tutti meno capaci di partecipazione democratica.Il modo per sconfiggere le cattive idee è attraverso l’esposizione, l’argomentazione e la persuasione, non cercando di zittire o desiderare di allontanarle.Rifiutiamo qualsiasi scelta falsa tra giustizia e libertà, che non possono esistere l’una senza l’altra.Come scrittori abbiamo bisogno di una cultura che ci lasci spazio alla sperimentazione, all’assunzione di rischi e persino agli errori.Dobbiamo preservare la possibilità di un disaccordo in buona fede senza terribili conseguenze professionali.Se non difendiamo la cosa da cui dipende il nostro lavoro, non dovremmo aspettarci che il pubblico o lo stato lo difendano per noi.”
Questa lettera si può condividere oppure no, resta il fatto che le cose stanno degenerando e nei prossimi mesi la battaglia sarà veramente aspra anche per le elezioni imminenti, rimane il fatto che le opinioni devono rimanere libere.
Ma cosa dice la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo? Articolo 19 Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
FONTI Il Post Harper’s Magazines La Repubblica del 8 Luglio 2020 Insideover R.Vivaldelli